Venzone horror story
l’Omp di Piluèr, le mummie, gli appestati
Proprio quel giorno, mentre si stagliava davanti a me il cartello stradale bilingue, ho scoperto una terribile verità: Piluèr è Pioverno in friulano, una frazione di Venzone!
Per comprendere il motivo di tanto sgomento dovete sapere che mentre nelle altre famiglie, quando i bambini facevano i capricci, i papà minacciavano di chiamare l’uomo nero (o per i più tradizionalisti il boboroso) il mio invocava l’arrivo de L’Omp di Piluèr!!! Ai tempi la minaccia sortiva un effetto blando: non ne ero certa, ma avevo dei ragionevoli dubbi sulla reale esistenza di questo “uomo”. Avevo infatti la sensazione che si trattasse di una creatura leggendaria o che fosse una specie estinta da tempo.
Capite il mio stupore quando compresi (…e avevo già la patente) che “Piluèr” non era un sostantivo attribuibile a qualche sottospecie di ominide, come l’Australopiteco o l’uomo di Neanderthal, ne tantomeno una creatura mostruosa con piedi abnormi come il sasquatch o legato al clima nivale come lo yeti. L’uomo di Piluèr era una persona in carne ed ossa, con tanto di indicazione geografica tipica, che viveva, peraltro, terribilmente vicino alla mia casa di Gemona! Se lo avessi saputo a quei tempi non avrei tirato così tanto la corda con i miei! Comunque, superato lo shock, a Pioverno ci sono tornata, e ci vado tutt’ora, per seguire gli interessanti incontri promossi dalla pro loco o per un bagno al Tagliamento.
Quando attraverserete (indenni) Pioverno e proseguirete oltre, vi troverete davanti alle imponenti mura del centro di Venzone. È un borgo semplicemente incantevole, molto curato, ricostruito in maniera impeccabile dopo il terremoto del ’76 che lo rase quasi al suolo e, col bel tempo, frequentato da gente che passeggia amabilmente per le viuzze lastricate. Se percepite un filo di invidia nella narrazione, sappiate che è l’inconscio a parlare: si dice infatti che tra gemonesi e venzonesi esista un’atavica rivalità, forse legata a screzi (incredibilmente non ancora del tutto digeriti) su dazi imposti ai mercanti ai tempi dei patriarca.
Vi consiglio di concedervi un po’ di tempo per visitare il centro: vi sentirete a vostro agio percorrendo le varie corti, facendo acquisti nei caratteristici negozietti, visitando la mostra “Tiere Motus”, soffermandovi ad ammirare l’architettura trecentesca del Duomo… e sarà proprio allora che appariranno davanti a voi le mummie, capeggiate dallo spaventoso gobbo!
Nella cripta di san Michele posta di fronte al Duomo sono conservati, e visibili al pubblico, cinque corpi mummificati risalenti alla metà del 1600, tra cui uno deforme nell’aspetto. La prima volta che vidi le mummie mi impressionarono: erano scure, raggrinzite, con orrende smorfie impresse nel viso e con improponibili gonnellini bianchi (ora credo che la censura alla nudità sia stata rimossa… questo mi conforta perché ricordo che ai tempi non potevo guardarle senza che mi tornasse in mente la canzone “Walk like an egyptian”). Comunque sia, ciò che rende queste mummie piuttosto conosciute e studiate è il fatto che il processo di mummificazione non è avvenuto per mano dell’uomo ma in modo naturale, evento al quanto raro. A partire dalla prima metà dell’ottocento si sono susseguiti studi che hanno confermato la presenza di un fungo (Hypha bombicina) all’interno delle mummie di Venzone. Si è sempre ritenuto che questa muffa fosse in grado di assorbire i liquidi corporei contribuendo alla disidratazione dei corpi e alla loro conservazione. Nel 2002 però il paleontologo Arthur Aufderheide, dell’Università del Minnesota, riprese il caso delle mummie di Venzone e nel suo trattato “Scientific study of mummies” giunse alla conclusione che il processo di mummificazione era imputabile esclusivamente alle particolari condizioni microclimatiche in cui i corpi furono tumulati. È stato quindi un giusto mix di basse temperature e bassa umidità ad aver causato il disseccamento dei tessuti molli e la loro conservazione fino ad oggi.
Usciti dalla piccola cripta sono sicura che potreste apprezzare una bella passeggiata tra il verde. Imboccata porta San Genesio dalla Piazza del Municipio, proseguite lungo via Santa Caterina e al termine svoltate a sinistra verso il sentiero che vi condurrà al Piano di Santa Caterina. In breve arriverete alla chiesetta omonima di origini quattrocentesche, collocata lungo l’antico sentiero celtico che, correndo a mezza costa, portava ai paesi d’oltralpe lungo la direttrice Artegna – Gemona – Venzone.
Anche la Chiesa di Santa Caterina fu quasi completamente distrutta dal terremoto del 1976 e successivamente ricostruita. Nel sagrato, conosciuto come “cimitero degli appestati”, sono sepolte le persone, tra cui il parroco di cui è visibile ancora la lapide, colpite dall’epidemia del morbo asiatico nel 1855. A parte questo macabro aspetto il prato antistante la chiesetta è un luogo ideale per stendere una coperta e rilassarsi facendo un pic nic o leggendo un libro. Io ci sono andata parecchie volte, mai sola però… a pensarci bene la probabilità di incontrare qui un uomo di Piluér è davvero alta!
Per tutti questi aspetti, ma soprattutto per tutti quelli ai quali non ho accennato, se passate da queste parti è d’obbligo una tappa a Venzone!