Una riunione di famiglia
Ho finito da poco di leggere l’importante (per cominciare, importante quanto a pagine) volume di Carl Safina (Al di là delle parole, con sottotitolo “Che cosa provano e pensano gli animali”). Si tratta del primo titolo di una nuova collana inaugurata da Adelphi lo scorso anno: “Animalia”.
Non è stata una lettura lineare. Mi sono bloccato un paio di volte e ho ripreso dopo un po’. Ha dei ritmi strani, il libro, non ha un tracciato narrativo costante. Indulge per molte pagine in descrizioni lunghe, dettagliate, quasi da specialisti; oppure si lancia lungo genealogie di elefanti e di lupi; poi d’un tratto si condensa in capitoli tirati, che tirano le somme. Ma è un gran bel libro. Alla fine, quello che ti resta, è la sensazione proprio “fisica”, di un mondo grande, di un mondo ricco e vario, interessante e semplicemente bello. Intorno a noi ci sono questo gran numero di altri viventi, di creature senzienti e differenti, un sacco di bellissimi “altri” che guardiamo poco e ci sforziamo di capire ancora meno.
Una delle zone più scivolose, nella ricerca contemporanea, ma proprio per questo una delle più interessanti e potenzialmente feconde, è quella che verte sull’intelligenza non umana. Ma non quella che costruisce astronavi interplanetarie per andare a scovare un ipotetico resto fossile su un pianeta lontano, ma proprio qui, sulla Terra, dietro casa.
A cavallo tra le neuroscienze e la biologia, la semiotica e la fisiologia, leggendo Safina continuiamo sulla strada tracciata da Copernico e Galileo, Newton, Darwin, Einstein, e impariamo a fare i conti col fatto che noi, scimmie nude e curiose, non siamo il centro dell’universo e non siamo nemmeno i padroni del nostro piccolo pianeta.
Intelligenza
Per molto tempo, in ambito scientifico, parlare di intelligenza per quanto riguarda le specie non umane è stato un vero e proprio tabu. Alcuni di quelli che hanno osato farlo sono stati cacciati in malo modo ai margini della comunità scientifica. La nostra specie aveva il monopolio dell’intelligenza e non era concesso metterlo in discussione. Ancora oggi, benché le cose stiano cambiando, si continua a fare ostruzionismo ed è con reticenza che accettiamo di cedere, riguardo a questa nostra presunta unicità.
Comunque sia, è ormai quasi sdoganato il concetto di “intelligenza animale”. Non vi è più l’ostracismo di un tempo (e parliamo appena una generazione fa, mica secoli), per quegli studiosi che si azzardano ad associare il termine “intelligenza” al sostantivo “delfino”, “elefante”, “corvo”: i delfinidi hanno ognuno un nome proprio e si chiamano tra di loro; gli elefanti sono mammiferi sociali e spendono periodi considerevoli di tempo in attività inutili e divertenti, oltre ad avere amicizie che durano tutta la vita; i corvi reali riescono a creare astrazioni piuttosto elaborate e in questo modo risolvono complessi problemi tecnici. Addirittura, in anni recenti, si è iniziato senza paura o vergogna, a discutere anche di intelligenza nelle piante (Stefano Mancuso è una piccola rockstar, oramai).
Ricordo quand’ero piccino e studiavo storia e geografia. Mi rammaricavo che tutto il globo fosse già stato scoperto ed esplorato. Più nessuna isola rimaneva da scoprire, più nessuna avventura da affrontare. Beh, mi sbagliavo alla grande: stavo guardando nella direzione sbagliata, semplicemente. Sono così tante le cose che non conosciamo, senza bisogno di costruire razzi e andare a esplorare Saturno, che fanno persino girare la testa. Le prime che mi vengono in mente: milioni di specie mai viste o immaginate, nel folto della foresta pluviale; quasi tutto quello che non riusciamo neanche a pensare, nelle profondità degli oceani; un numero inimmaginabile di animali molto piccoli e tutto il loro bizzarro mondo; ecosistemi interi, dentro il nostro intestino; noi e il nostro cervello, e cosa facciamo e come lo facciamo e perché; l’intelligenza degli altri animali; come comunicano e come si relazionano, le specie vegetali; e ancora e ancora e ancora. Interi mondi in cui pochi o nessuno ha messo piede. Aspettano solo che qualcuno ci si avventuri dentro, con curiosità e un taccuino.
Cervello
Senza dubbio l’intelligenza sta nel cervello, nell’apparato neurale. Di questo siamo certi. Ma non siamo affatto certi di come possiamo misurarla. Non lo sappiamo nemmeno per quanto riguarda la nostra stessa specie (tutti i testi di intelligenza sono un po’ dei giochini, non hanno molto di scientifico), figuriamoci se riusciamo a misure l’intelligenza degli altri animali.
La dimensione certamente qualcosa conta, ma non è tutto. Il cervello dei capodogli ad esempio pesa ben 8 chili, ma probabilmente non è la specie più intelligente sul pianeta.
Forse possiamo provare con il rapporto tra massa corporea e dimensioni del cervello. Ecco, così andiamo già un po’ meglio (è il QE, Quoziente di Encefalizzazione). La misura media del QE tra i mammiferi equivale a 1. Gli elefanti ottengono un discreto 2, i delfini un ottimo 4/5, gli scimpanzé un 2 abbondante. Noi sapiens, 7.6.
Ma anche il QE finisce per risultare grossolano. Un altro passo: quello che conta sono i neuroni. E non solo quanti ce ne sono, ma anche la loro densità, il modo in cui sono organizzati, le loro connessioni e la velocità con cui riescono a trasmette gli impulsi elettrici. Allora, i neuroni della corteccia degli umani sono circa 16 miliardi, quelli dei cetacei 10 miliardi, gli elefanti ne hanno 11 miliardi (ma ho visto l’altro giorno un TED sulla struttura neurale delle mosche, ed era strepitoso) (NDR: lo so, siamo gente strana).
Indubbiamente alcune specie hanno cervelli più complessi di altre. Ma perché ce l’hanno? Cioè, perché diavolo hanno perso tempo a evolvere un organo così costoso, così complicato?
Una semplificazione evoluzionistica potrebbe indurre a pensare che alla base dello sviluppo del cervello (un organo appunto molto impegnativo e “costoso”)1 vi sia la necessità del cibo, di riprodursi e di sopravvivere nella gara dell’evoluzione. Ma non è esattamente così.
«Quando gli individui contano – quando sei un “chi” – ti serve un cervello sociale in grado di ragionare, pianificare, ricompensare, punire, sedurre, proteggere, stabilire legami, comprendere, empatizzare. Il tuo cervello dev’essere una sorta di coltellino svizzero, contenente diverse strategie per affrontare situazioni diverse. I delfinidi, le antropomorfe, gli elefanti, i lupi e gli esseri umani hanno esigenze simili: conoscere il proprio territorio e le sue risorse, conoscere i propri amici, monitorare i propri nemici, riprodursi, allevare la prole, difendersi e cooperare quando è vantaggioso».
Insomma, «le specie con le società più complesse sviluppano i cervelli più complessi. Che cosa viene prima? Probabilmente le due cose evolvono insieme in una corsa agli armamenti in cui i vantaggi sociali cominciano a superare i costi sociali. Morale? Il cervello più intelligente è il cervello sociale».
Quindi: rapporti sociali in genere, legami parentali, infanzia protratta dei figli e lunghe convivenze familiari, amicizie strutturate, empatia e collaborazione, lutto, inganni, gioco (indulgere in comportamenti senza uno scopo o obiettivo preciso che non sia il piacere, compreso il gioco sessuale non finalizzato alla procreazione e l’autoerotismo).
Mente
Un tempo era l’uso degli strumenti: solo noi sembravamo saper adoperare gli strumenti per raggiungere obiettivi in maniera indiretta. Poi sono arrivate le antropomorfe (giusto per darvi una marca temporale: pensate alla scimmia che picchia a terra con l’osso, in 2001 di Kubrick), e con lei, a stretto giro, una valanga di altri animali. Safina fa qui alcuni esempi tra i moltissimi ormai dimostrati e accettati: gli oranghi che fanno salire il livello dell’acqua per raggiungere gli oggetti in un contenitore; gli elefanti che fabbricano ben sei tipi di strumenti, per lo più per grattarsi e rimuoversi di dosso le zecche; i corvi della Nuova Caledonia e il fringuello picchio che usano delle spine per sondare le cavità degli alberi in cerca di insetti; i gabbiani che fanno cadere dall’alto le conchiglie dure per aprirle; e ancora, il capovaccaio, l’airone verde, la megattera e i delfinidi, le ghiandaie, i cacatua, i pesci ciclidi, i pesci gatto, e addirittura gli insetti (formiche, api, termiti, ragni).
Procediamo intanto nel racconto di che cosa potrebbe essere questa famigerata “intelligenza”. La Teoria della mente, a questo punto, potrebbe essere un altro buon candidato. Ci sono molti modi di definirla, ma in pratica significa renderci conto che noi abbiamo una mente, che gli altri hanno una mente, e che la nostra e quella dell’altro sono due cose diverse 2.
Quando diciamo “sapere che un altro ha pensieri diversi dai tuoi”, noi sapiens siamo in ottima compagnia: le grandi antropomorfe, i cetacei odontoceti, elefanti, corvidi, cani.
Safina, come fa spesso, non perde occasione per mettere in ridicolo la ricerca “ortodossa”. Racconta che l’espressione “teoria della mente” è stata coniata nel 1978 sulla base di un esperimento sugli scimpanzé: mostrando a degli scimpanzé filmati di alcuni umani che tremavano di freddo a causa di una stufa spenta, si aspettavano che i primati scegliessero da un mazzo la fotografia di un fiammifero (per accendere la stufa); mostrando un registratore che non suonava alcuna melodia, si aspettavano che scegliessero un’immagine della spina infilata nella presa di corrente, così che potesse suonare. La sola cosa che consegue da questo esperimento, dice, sembra essere che molti umani sono stupidi (compresi anche parecchi scienziati) e in second’ordine che gli umani sono abbastanza bravi a comprendere gli altri umani mentre i delfini o gli scimpanzé sono piuttosto bravi a comprendere i delfini o gli scimpanzé. Fatto che non appare poi granché eccezionale o anomalo.
«Certo il più delle volte io non so che cosa stia pensando [il mio cane]. Ma il più delle volte non so neanche se mia moglie stia pensando che mi ama o che cosa le andrebbe per cena».
«La nostra socialità si esplicita ad esempio nel comprendere i giochi verbali, le metafore, una battuta sarcastica. Quando gli animali (cuccioli di grandi felini o cani domestici) si azzuffano per gioco, fanno gesti e suoni simili a quelli di un vero attacco. Ma i compagni capiscono benissimo che si tratta di un gioco, che è per finta».
Alla fine, mi pare che ci sia sempre questo grande problema dell’antropomorfizzazione, che in definitiva altro non è che il “problema del diverso”. Più qualcosa è diversa da noi, più la teniamo a distanza, ci fa paura, non la comprendiamo e la demonizziamo. Non facciamo fatica a concedere alle antropomorfe di essere intelligenti, un po’ perché lo sono per davvero ma in buona parte perché la loro intelligenza è piuttosto simile alla nostra e loro sono abbastanza simili a noi. Ma provate a ragionare, magari con l’uomo della strada, dell’intelligenza di una cernia, e poi ne riparliamo.
A un certo punto, nel libro viene riportata una citazione, per supporre una presunta superiorità della nostra specie: «È possibile che gli animali non umani abbiano delle convinzioni e che possano giungere a quelle convinzioni per effetto delle prove, ma essere quel genere di animale in grado di chiedere a se stesso se le prove giustificano veramente le convinzioni e adeguare le proprie convinzioni in modo coerente con esse, è certo un passo ulteriore».
Ah davvero? E a dirlo è una specie che crede che fiumi o alberi siano abitati da spiriti che li stanno osservando? Che crede di essere aiutata o ostacolata da esseri immaginari oppure da parenti deceduti, angeli, spiriti guida, demoni e altre amenità!
«Le azioni e le convinzioni degli animali si basano sulle evidenze: non credono nulla, a meno che non sia confermato dai fatti … Nessun vivente ha una migliore mentalità scientifica di una biscia, un coleottero, uno gnu o un falco. Al contrario, tra tutti gli animali, noi siamo i più irrazionali, vittime di deliri e distorsioni cognitive. A essere una prerogativa umana non è la razionalità ma, l’irrazionalità, abilità fondamentale per visualizzare ciò che non esiste e perseguire idee irragionevoli».
Forse tutto questo pasticcio dentro la nostra testa nasce da quello che Safina definisce insieme la nostra ELEVAZIONE (linguaggio, agricoltura, elettricità, fisica quantistica, internet) e la nostra CADUTA. Il nostro essere differenti è proprio questa cosa qui, insieme elevata e ridicola, che ci ha portato sia Michelangelo che Dianetics.
«Perché l’idea che altri animali pensano e sentano sembra costituire una così grande minaccia per l’ego degli esseri umani?».
Amore
Però messa così sembra che questo libro ragioni di teorie, di mente, di razionale e irrazionale, di ascesa e caduta. In realtà questa cosa occupa forse meno di un quarto, in questo bellissimo libro. Il resto, la gran parte, è solo amore, contemplazione e meraviglia di fronte alla vita di alcuni meravigliosi esseri viventi, così lontani e così vicini a noi.
Quando leggo un libro, ci scrivo sopra un sacco: sottolineo, faccio frecce, cerchi, linee. Lo faccio ovviamente quando ci sono dei passaggi chiave, che tirano le fila, che condensano o chiudono. Ecco, le parti più belle di questo libro sono quelle dove non ci sono segni a matita. Perché cosa vuoi sottolineare quando per pagine, segui gli elefanti, nelle peregrinazioni della famiglia di Wendy o assisti alla morte di Echo insieme alle sue due figlie che la piangono aspettando in silenzio che se ne vada.
Nell’ultima pagina, c’è scritto: «Alcuni dei miei migliori amici sono esseri umani. Il problema è che per ogni ballerina, ci sono migliaia di soldati … Il che ci suggerisce qualcosa: non stiamo facendo del nostro meglio».
Compratelo, regalatelo e fatevelo prestare, rubatelo, fate come volete. Ma per favore leggete questo libro. Se poi non vi innamorate degli elefanti, beh … potete sempre prendere il famoso razzo spaziale per Saturno (fatevi sotto che ci sono i biglietti di sola andata in offertissima).
NOTE
1. Ad esempio, un cervello come il nostro “costa” moltissimo; costituisce solo il 2% del peso corporeo ma consuma circa il 20% del nostro budget energetico. Ci sono moltissime specie (pensate ad esempio alle meduse) che hanno un cervello assolutamente elementare o che addirittura non ce l’hanno del tutto, e che stanno sulla terra sempre uguali da milioni di anni; segno che così come sono, ignoranti e decerebrate, vivono alla grande (so che aspettano la battuta becera sugli italiani, ma non mi presterò, stavolta).
2. La teoria è stata per formulata per la prima volta nel 1978 da Premack e Woodruff; David Premack e Guy Woodruff, “Does the chimpanzee have a theory of mind?”, in Behavioral and Brain Sciences, special issue: Cognition and Consiousness in Nonhuman Species, vol. 1, nº 4, Cambridge Journals, December 1978, pp. 515–526.