Macedonia di parole

autore
Marcela Costa

rubrica
metà della foresta

data
10 Jul 2022

tags
brasile frutta tropicale lingue indigene metà della foresta

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frutta tropicale in un mercato

Pitaya, avocado, papaya… nel mondo del cibo ci sono tante parole che suonano “strane” alle nostre orecchie. Gli alimenti sono essenziali alla nostra sopravvivenza, e attraverso la parola ci portano con sé in un viaggio tra popoli e lingue. 

Questo patrimonio immateriale ha spinto l’ONU nel 2019 a creare: “L’Anno Internazionale delle Lingue Indigene”, per proteggere la minaccia di tante lingue e dialetti che sono in via di estinzione. Per questo l’obiettivo 11 dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile è “proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale”.

Le “lingue amerinde” sono i diversi gruppi linguistici che erano presenti nel continente americano prima dell’arrivo degli europei; se ne contavano migliaia, ma oggi ne sono sopravvissute solo 274, parlate da 305 etnie diverse.

In generale, queste lingue hanno una grande quantità di termini utilizzati per descrivere la natura; hanno tanti personaggi mitici e animali fantastici nelle antiche storie sulla creazione dell’universo e sull’origine degli uomini. Come tempo verbale utilizzano quasi sempre il presente. Vengono tramandate oralmente, di generazione in generazione, come un vero e proprio “bene collettivo”.

La lingua “tupi-guarani” era (ed è ancora) la più diffusa in Brasile, ed è lei ad aver dato il nome a tanti frutti e ortaggi! Eccone qui alcuni.

“Avocado” in Brasile si dice “abacate”, un nome che deriva dall’albero che in tupi si chiama “abacatiyba”. È un frutto di origine messicana, ricco di grassi e con poco zucchero. È arrivato nel paese tropicale tramite i portoghesi ed è l’ingrediente principale di un famoso dolce che si mangia dopo pranzo: crema di “abacate” (avocado frullato con zucchero e latte).   

Un altro frutto conosciuto in tutto il mondo è il ‘frutto della passione’ (passion fruit), in omaggio alla Passione di Cristo: probabilmente sono stati i gesuiti che, arrivati in Brasile, per spiegare la morte di Gesù agli indigeni, usavano questo frutto, che nella parte interna assomiglia ad una corona di spine. In Brasile si chiama “maracujá”, che nella tradizione indigena significa alimento dalla forma di “cuia” (contenitore). 

L’“anacardo” in portoghese è “castanha de caju”, ovvero la noce proveniente dal caju. Non si tratta di un vero frutto, ma di un peduncolo polposo mangiato in natura e usato per preparare variati piatti. In tupi, “caju” deriva da “akayu” e significa “noce che si riproduce”.  

Forse hai già sentito parlare della “guava”… ma conosci la “goiaba”? Sono lo stesso frutto, nativo dal Centro e Sud America. Ma “goiaba” significa “insieme di semi” ed è il nome con cui lo conosciamo noi brasiliani. E la confettura fatta con la “goiaba”? La “Goiabada”, famoso dolce che in abbinamento con il formaggio crea un piatto tipico dal nome italiano: “Romeo e Julieta”.

Come ultimo, il “super food” attualmente più in voga: “açai”. Ricco di nutrienti e proprietà energetica; “açai” in tupi significa “frutta che piange” (per il succo ottenuto dalle sue bacche). È mangiato in natura, usato per la preparazione di dolci e anche come contorno di piatti salati (consigliato insieme a gamberi o pesce). All’estero lo si trova come polvere a cui aggiungendo latte o acqua, ottenendo un succo o una crema.   

Dopo questo breve “dizionario” gastronomico tupi, sarebbe bello assaggiare questa meravigliosa frutta e capire se il nome od il significato sono davvero legati ad essi. Che ne dici?