Il “buon senso” del disgusto
È però importante andare oltre le parole e chiedersi: esiste un significato evolutivo del provare nausea alla vista di carne in putrefazione o considerare “puzza” l’odore di cavoli cotti? E perchè questi comportamenti sono comuni a molte culture nel mondo?
L’ipotesi più accreditata sul disgusto lo considera un adattamento utile come difesa contro gli attacchi di microbi e protezione contro le malattie che minacciano la sopravvivenza dell’individuo. Studi crossculturali mostrano che le persone trovano ugualmente disgustosi tutti gli alimenti potenzialmente contaminati da parassiti o preparati in modo poco igienico come cibo sporco, ammuffito, maleodorante o in decomposizione.
Ancor più interessante è scoprire che l’emozione del disgusto non è la stessa per uomini e donne; esiste infatti una differenza di genere.
In effetti, poichè di solito sono le donne a prendersi cura dei bambini, hanno bisogno di proteggerli e per questo hanno sviluppato una percezione più elevata del rischio connesso a possibili fonti di malattie. Questa particolarità trova la sua più interessante conferma nella “nausea gestazionale”, l’accresciuta sensibilità e reazione a particolari cibi o odori, presente in genere durante i primi tre mesi di gravidanza, periodo di maggiore vulnerabilità del feto. Non dobbiamo dimenticare infatti che molti cibi di uso comune contengono sostanze tossiche (caffè, patate, noce moscata), cancerogene (i fritti) o sono a rischio di contaminazione batterica (le carni).
Tutto questo spiega forse perchè l’essere umano condivide con i ratti la fobia per i nuovi alimenti ed è più facilmente disponibile ad assaggiarli se persuaso da amici o familiari?
NOTE
David Buss, Psicologia evoluzionistica